Intervista di padre Nazzareno Fabbretti
a Alice Milani Weiss
“IL RESTO DEL CARLINO” 8 luglio 1970


“Signora Milani, se prima o poi questa Chiesa imprevedibile, capace di tutto, le facesse lo "scherzo" di canonizzare suo figlio, in che stato d'animo verrebbe a trovarsi lei? Lo pregherebbe un "santo" del genere?“:

Alice Milani Weiss ha passato la settantina; da parecchi mesi si sta riprendendo da una dolorosa operazione. Ma nulla in lei, nemmeno fisicamente, denota il segno della debolezza. Tutto in lei è fierezza, anche la cortesia attenta con la quale mi ha accettato in casa, sacerdote ma giornalista. Finora non ha mai voluto parlare di Lorenzo con cronisti di nessun genere, salvo un paio di amici del figlio, peraltro bene accolti come amici, non come giornalisti. Seduta su un divano, nel salotto di via Masaccio, a Firenze, in piena canicola, non dimostra né stanchezza né timore. I suoi occhi scuri e attenti disarmano più dei suoi dinieghi. Una domanda del genere se l'aspettava, qualcuno deve avergliela già fatta.

“Non so cosa farà la Chiesa di mio figlio. Ma non importa. Altari o no, Lorenzo resta quello che è, e io non lo vedo diversamente da come l'ho sempre visto. Mi mette a disagio che mi si domandi di lui in quanto sua madre. Ogni parola detta dalla madre, soprattutto a proposito di uno come lui, può acquistare un senso particolare, che non mi piace. Io stimavo la Chiesa anche prima che Lorenzo si convertisse e si facesse prete. Certo, con lui prete, l'ho stimata anche di più. L'ho conosciuta meglio, soprattutto quando mio figlio ha cominciato a patire tanto proprio per la Chiesa.
Ho sofferto, ma non mi sono stupita e scandalizzata. Non mi sono mai illusa che potesse essere il contrario “.


“Quando suo figlio, verso i diciannove anni, si è "convertito" e ha detto che voleva farsi prete, qual' è stata la sua reazione? E' stata favorevole? “:

“No, non è stata favorevole. Mio marito ed io eravamo contrari, abbiamo sofferto di quella scelta. Io come atea (1) ed ebrea, e anche mio marito benché cattolico d'anagrafe. Ma non abbiamo detto o fatto nulla per distogliere Lorenzo dal suo proposito. Lo conoscevamo bene, sapevamo che se aveva deciso per quella strada nessuno lo avrebbe potuto dissuadere. Cosa ho provato davanti alla sua "conversione"? Come dirlo? e poi, perché parlarne? Credo che questo appartenga solo a me, al mio cuore e ai miei ricordi. Una cosa come quella è sempre un mistero, e io non posso presumere d'aver capito il mistero della vocazione religiosa di mio figlio“.

“Infatti, signora Milani, anche Maria, ritrovando Gesù fuggito di casa, dice il Vangelo che "non cap“ nulla". Lo vide come uno sconosciuto. E' successo qualcosa del genere anche a lei? “:

“Io, non credo. Io conoscevo bene mio figlio. Sapevo che era capace solo di scelte definitive, totali. In questo senso non era per me uno "sconosciuto". Per il resto, anch'io, davanti alla sua decisione, e a tutto ciò che da essa è scaturito dopo, non mi sento neanche in diritto di capire, di sapere e di dire più degli altri solo perché sono sua madre. Sono una testimone che ha potuto vedere certe cose più da vicino, ecco tutto. Vorrei che non mi si chiedesse di più “.

“Quando Lorenzo fece quella scelta, lei credette di perderlo o no? “.

“No, non credo. Io conoscevo bene mio figlio, la sua devozione. Infatti non li ho mai persi. Tanti hanno scritto della durezza, dell'ironia, della spietatezza di mio figlio, uomo e prete, e per un verso hanno ragione. Non è stato forse lo stesso Lorenzo a scrivere che "pochi preti danno amore con la durezza del Signore"? Ma con me Lorenzo fu sempre tenero, affettuoso devoto. Devoto, ecco la parola: la sua per me era una vera devozione. Non mi ha mai preso in giro, nemmeno affettuosamente, non ha mai giocato con me con quei sarcasmi che tanti altri, a loro spese, hanno conosciuto di lui. Non è nemmeno vero che venisse poco a trovarmi. Veniva spesso, certo con sacrifici per non sottrarre nemmeno un'ora di scuola ai ragazzi di San Donato o di Barbiana “.

La signora Alice si alza per mostrarmi la stanza dove don Lorenzo è morto, il 26 giugno 1967. La donna non ha un tremito nella voce. I suoi occhi sono asciutti, il volto tranquillo. Mostrarmi la stanza è forse un'occasione istintiva per non lasciarsi andare a confidenze che ha stabilito di non fare a nessuno.

“Vede? è morto qui, in questo letto. E questi alle pareti sono alcuni dei suoi quadri che aveva dipinto a diciannove anni quando studiava pittura a Brera. Non sono belli? “

Negli occhi scuri e attenti c'è un rapido guizzo d'orgoglio, subito spento: una donna, una madre che sembra aver più pudore della propria felicità che della propria sofferenza.
I quadri sono belli. Raffigurano angoli della campagna di Firenze. Il disegno è tenue, ma netto. L'impasto dei colori luminoso e sicuro. La lezione di Rosai, forse, non è lontana. Ma sembrano soprattutto le prove della fine di un idillio e di una ricerca nello stesso tempo: un "paradiso mai a sufficienza perduto". “E' qui, in questa stanza, signora, che il cardinale Florit, venne a trovare suo figlio poco prima che morisse? “:

“Sì, è in questa stanza che venne il cardinale. Fu una cosa penosa. Mi sentivo a disagio. Lorenzo era lucidissimo, anche se non poteva parlare, e il cardinale non trovava che pietose parole, frasi d'occasione per aiutarlo: "Offra tutto al Signore...”. "Coraggio...". Solo per me, ricordo bene, mentre stava per uscire, ebbe una parola più umana. Mi disse: "Non le dico di avere pazienza, di pazienza ne ha già avuta tanta “.

“Quando ricorda che cominciasse lo scontro fra Lorenzo e certe mentalità dell'ambiente ecclesiastico?“:

“Forse un anno o due dopo che era entrato in seminario. In seminario entrò nel novembre del 1942(2). I primi tempi fu un ragazzo molto felice, felice come l'avevo visto poche volte. La nostra è una famiglia in cui si è sempre avuto tutto, dal pane alla cultura, dal prestigio al gusto delle cose belle. Ma solo in seminario Lorenzo trovò subito ciò che istintivamente cercava con tutto se stesso: una ragione assoluta per vivere, una disciplina costante. Dopo vennero i primi urti, le incomprensioni da parte dei superiori. Lui era docile, obbediente come del resto era sempre stato; ma la sua personalità, così singolare; netta, unica nel suo genere, dovette trovare impreparati quelli che dovevano educarlo. Però non fu solo un conflitto di uomini: fu soprattutto uno scontro fra concezioni del tutto diverse. La laicità di mio figlio prima della "conversione" era sempre stata rigorosa e coerente quanto fu la sua religiosità dopo: non poteva venire a patti col mondo, accettare compromessi, con nessuno, per nessun motivo “.

“Vista da lei, come nacque la vocazione di suo figlio? “:

“Nacque per gradi. E nacque da un senso di vuoto, d'insoddisfazione. Noi ci si aspettava che prendesse la via accademica, che seguisse la tradizione di famiglia. Invece, dopo il liceo, volle studiare pittura a Brera. Erano gli anni della guerra. Presto si dovette sfollare da Milano, e ritirarci nella nostra villa di Montespertoli, vicino a Firenze. Lui intanto aveva incominciato ad in teressarsi di architettura, oltre che di pittura. Poi, non so come, si ritrovò in mano un libro sulla liturgia cattolica. Lorenzo se ne entusiasmò, ma tutti, lì per lì, si pensò che fosse l'entusiasmo di un esteta. Invece era accaduto, o stava per accadere in lui qualcosa di assolutamente diverso. Di lì a pochi mesi, nel novembre del 1942, entrò in seminario “.

“Lei crede in Dio, signora Milani? “:

“Non credo in Dio. Sono ebrea, ma non un'ebrea praticante e credente. Anche se la Chiesa cattolica ha sempre avuto su di me una grande attrazione, vivo, come tanti, religiosamente, sulla "terra di nessuno". Per quanto il caso di mio figlio mi abbia colpito profondamente, non gli ho mai detto, né allora né dopo, una sola parola che lo potesse condizionare nella sua libertà. Io ho sempre rispettato la sua libertà, e lui ha sempre rispettato la mia “.


“Lui non le ha mai parlato di Dio, della fede, dell'aldilà?”:

“Mai, mai una parola. Lorenzo, lei lo sa, non nominava mai il nome di Dio invano. Del resto, ripeto che sono cose di cui non voglio parlare. Ora ho un po' meno paura, ma appena è morto ne ho avuta parecchia. Voglio dire che ho temuto che alcuni lo potessero strumentalizzare, anche se in buona fede, e se lo volessero annettere. Adesso che è morto, quasi tutti sono d'accordo con lui, no? “.

“Perché ha avuto questa paura? Non crede che Lorenzo non possa appartenere del tutto a nessuno, né ai protestatari, né agli integristi, né ai comunisti, né ai clericali? “:

“Certo, non appartiene a nessuno. Nemmeno a me, soprattutto adesso. Né ai borghesi, né ai liberali, né ai radicali. Capisco che se anche ha dato la sua vita ai ragazzi di San Donato e di Barbiana, non si è "esaurito" nemmeno in loro. Me ne sto rendendo conto davanti al volume delle Lettere pubblicato da Mondadori. Barbiana è un momento della sua vita, come ne fu un momento la difesa degli obiettori, come ne fu un altro momento il confronto violento con la gerarchia. Tutte occasioni per un discorso più ampio e più profondo, un discorso che comincia forse ad essere inteso solo adesso. E' vero che della sua scuola non resta nulla. Ma ha ragione chi osservava: è un po' come dire che la scuola di Socrate è chiusa, finita, solo perché Socrate è morto. Sul principio avevo dato anch'io parere sfavorevole al volume delle lettere pubblicato da Mondadori. Ma adesso vedo cosa sta succedendo. Guardi qui l'Eco della Stampa. E' un fenomeno incredibile. Con Esperienze pastorali e Lettera a una professoressa si conosceva un Milani non intero, non diretto, per quanto autentico e provocante. E' con queste lettere che si comincia a conoscere l'uomo in via diretta, quel sacerdote unico nel suo genere che Lorenzo è stato “.

“Lei si dichiara atea, ma sembra che ciò che più di tutto le sta a cuore sia Lorenzo come sacerdote “:

“Infatti è così. Mi preme soprattutto questo: che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa; e che la Chiesa renda onore a lui. Dico questo, sia chiaro, non solo come madre. Mi rende felice il fatto che le opere di Lorenzo tornino ora più vive che mai - Lettera a una professoressa sta avendo un enorme successo editoriale negli Stati Uniti - e che persino il teatro si occupi delle sue proposte politiche e pedagogiche. Ma se non si comprenderà realmente il sacerdote che Lorenzo è stato, difficilmente si potrà capire di lui anche il resto. Il suo profondo equilibrio, per esempio, fra durezza e carità “.

“Lei crede agli sviluppi sociali e politici del pensiero di suo figlio? “:

“Posso anche crederci, ma non è la cosa più importante: è solo la conseguenza di qualcos'altro, molto più profondo e totale: il suo essere prima di tutto e soprattutto sacerdote. Lorenzo, per esempio (questo me lo disse più d'una volta) non avrebbe mai fatto il "prete-operaio" come i "preti operai" francesi. Coi piedi lui era pronto a prendere a calci tutte le ingiustizie che si opponevano alla sua missione di prete, ma nelle mani teneva soltanto l'ostia ("Non l'ho deposta-avvertiva, lei ricorderà, fin dalla conclusione di Esperienze pastorali - per correre sulle barricate") “.

La signora Milani si rende conto che sta infervorandosi, aprendosi alle confidenze che più attendevo e speravo. Ha quasi un timore improvviso per ciò che mi sta dicendo. Si guarda intorno, cerca un appiglio per cambiare discorso. Si alza e va a uno scrittoio, sul quale è in cornice la foto di suo figlio più conosciuta, quella che lo ritrae in mezzo ai ragazzi di Barbiana. Ma lei ne cerca un'altra; una rara foto in cui Lorenzo, sempre in mezzo ai ragazzi, questa volta sorride con tenerezza: immagine inedita di un uomo ritenuto a torto un asceta senza sorriso.

“Ecco, questa è la foto più bella che ho di lui. Qui è veramente un padre “.

Le chiedo di poter riprodurre questa foto, ma non mi viene concesso. Chiedo di farne una io a lei, ma non ottengo nemmeno questo. Chiedo che cerchi lei, negli albums di casa, quella che ritrae insieme madre e figlio. No anche questa volta. Il sospetto prende in lei il sopravvento. Sono un sacerdote, ma, ahimè, anche un giornalista. Poi, guardandomi con curiosità e stupore, è lei a farmi la domanda che temevo.

“Ma perché lei cerca me, ora che Lorenzo è morto? Non l'ha mai conosciuto? non è mai stato a Barbiana? “:

“No, signora, non sono mai stato a Barbiana, non ho mai conosciuto Lorenzo. Diciamo che non ho mai voluto conoscerlo”.

“Perché? “:

“Avevo paura. Tutti, soprattutto gli amici, mi avevano sempre detto che presentarsi a lui, pur cos“ generoso e umano, era un po' come presentarsi al giudizio universale. E non tanto per i suoi sarcasmi che levavano la pelle, e dai quali sembra che soltanto lei sia stata risparmiata, quanto perché lui vedeva dentro, coglieva subito le contraddizioni, la fragilità dell'interlocutore. Ora capisco cosa volesse dire la mia paura, e lei, signora, me la conferma: ci si trovava di fronte ad un uomo diverso, ad un "test" vivente. Io credo che si trattasse di un "santo". Lo dico fra virgolette, e preciso che se lo era era un santo a modo suo, il più scomodo dei "santi". E i santi o si cercano o si fuggono, e una cosa come l'altra è la riprova della loro singolarità e irripetibilità. Ma Ma mi dica, signora: un "santo" così, lei, se avesse la fede, lo pregherebbe? “:

“ Non voglio dir nulla. Ogni parola della madre potrebbe complicare, non semplificare le cose. Voglio solo che Lorenzo sia conosciuto meglio. Che si dica anche della sua allegrezza. Ed è per questo che non escludo, prima o poi, di pubblicare anch'io una scelta delle sue lettere. Il resto non tocca a me. Tocca semmai a quella Chiesa che lo ha fatto tanto soffrire, ma che gli ha anche dato il sacerdozio e la forza di quella fede che resta per me il mistero più profondo di mio figlio “.



Note
1. Più volte la madre ha ribadito di aver usato la parola agnostica e mai atea.
2. In realtà Lorenzo va in seminario nel novembre del '43.