“Esilio” è una delle parole che più spesso si trova quando si parla o si scrive di don Milani: “l’esilio di Barbiana” è un’espressione ormai classica della sua biografia.Ma domandiamoci: fu veramente un esilio ? E se lo fu, come e perché lo fu ? Fu un esilio come quello di Dante Alighieri o come quello di Umberto II di Savoia ? O, meglio ancora, fu un esilio come quello del popolo eletto in Egitto o nel deserto, o come quello di Mosè, cacciato dal Faraone ? Altrimenti, l’espressione “esilio di Barbiana” rischia di diventare un modo di dire, una frase fatta, con tutte le connotazione superficiali e negative di un luogo comune.Forse il trasferimento di don Milani da San Donato a Calenzano (che non era certo il centro del mondo) a Barbiana va adeguatamente approfondito.Si è sempre creduto e sostenuto che quel trasferimento fosse stato deciso e voluto a Calenzano, perché qualche sacerdote avrebbe voluto succedere nella canonica del Proposto di San Donato dopo la morte di don Pugi, scalzando e cancellando le aspettative di don Milani, per cui il cosiddetto “esilio” sarebbe stato un rinnegare, eliminare e condannare le sue idee, i suoi programmi, i suoi contenuti, i suoi metodi, insomma la sua pastorale.
In questa operazione particolarmente censoria e repressiva si sarebbe rivelata la volontà e la decisione dell’Arcivescovo, il Card. Elia Dalla Costa, dettata da logiche di potere e di opportunità e poco pastorale; da una volontà di compiacere quella parte della comunità di Calenzano, che avversava il Cappellano di San Donato.
Lo stesso don Lorenzo, quando parla o scrive della strazio, suo e dei suoi ragazzi di San Donato, sembra dare credito a quella opinione.Ma, forse, la vicenda va ben approfondita sulla base di fatti, ormai storici.
Don Antonio Santacatterina, che succedette a don Pugi come Proposto di San Donato, non voleva assolutamente assumere questo incarico. Era Pievano della parrocchia di San Severo a Legri (Calenzano) ed era ben lungi dal volere trasferirsi a San Donato.
Nonostante le sue riluttanze, compì un atto di obbedienza al suo Vescovo, quando questi, una sera, venne a bussare alla porta della canonica di Legri e, aperta che gli fu la porta dallo stesso don Antonio, si mise in ginocchio di fronte al suo prete, implorandolo di accettare il trasferimento a San Donato.
Di fronte a questo atteggiamento dell’Arcivescovo – e che Arcivescovo ! – a don Santacatterina “caddero le braccia” – come spesso diceva con grande commozione – e, davanti all’umiltà del suo Vescovo, compì l’atto della obbedienza.Quindi, la scelta di trasferire don Lorenzo a Barbiana fu una scelta nitida, motivata e profetica del Card. Dalla Costa, oltre ogni aspetto contingente e di opportunità, e così fu giudicata, attuata, vissuta ed obbedita da don Lorenzo.La caratteristica di “esilio” del trasferimento a Barbiana di don Lorenzo va, quindi, rettamente intesa e valutata, perché anch’essa finisce per connotarsi biblicamente come l’esodo – o esilio – del popolo eletto nel deserto.
Il Vescovo, che fu uno degli eminentissimi padri spirituale del Concilio, dalle radici più profonde e profetiche della Chiesa di quegli anni, intuì il carisma del suo prete Lorenzo e lo collocò nell’unico posto dove avrebbe potuto far esplodere la sua vocazione, per la propria crescita interiore, perché facesse fruttificare – per sé e per la Chiesa, ma anche per il mondo – quel germe di salvezza che era stato gettato nel suo spirito, e perché Barbiana ed i suoi poveri fossero riscattati nella Chiesa e nel mondo, come “segno dei tempi”.La scelta del Vescovo Elia nasceva da lontano e dal profondo, e Lorenzo la abbracciò con entusiasmo. Sia la scelta del Vescovo che l'adesione del prete sicuramente non furono capite nella loro portata profetica e furono – forse ancora sono – male interpretate dal comune sentire.Solo chi è in sintonia con lo Spirito Santo poteva rettamente intendere il significato di quello che tanti (quasi tutti) abbiamo sempre chiamato e continuiamo a chiamare “l’esilio di Barbiana”.
Filippo Trippanera