LA VITA
Lorenzo nasce in epoca fascista
il 27 maggio del 1923
Vivere eventi storici, quali quelli avvenuti tra le due grandi guerre e aver, in prima persona, sperimentato le complicità di classe con gli orrori del nazifascismo, ha consentito a Lorenzo di analizzare, con lucidità e sensibilità particolari, i meccanismi che sostengono il potere egemone della classe dominante.
Dice Oreste del Buono, amico ai tempi del liceo, in un'intervista di Neera Fallaci: "Gli squadristi marciavano mentre noi eravamo dentro delle pance.
Siamo cresciuti in famiglie della ricca borghesia che riuscivano a vivere abbastanza bene col fascismo; quando non lo avevano addirittura sostenuto e finanziato”. Il contesto sociale in cui è vissuto deve, in qualche modo, aver determinato una scelta di vita così estrema.
La sua famiglia aveva condiviso, nel bene e nel male, le sorti di tante altre “buone famiglie” che messe insieme costituirono di fatto il retroterra al fascismo. Una classe sociale che non aveva esitato a barattare milioni di morti per proteggere l'industria delle armi, anche batteriologiche e chimiche, per difendere i propri privilegi.
Una famiglia in cui la cultura, con la “C” maiuscola, era di casa. Dove le ben radicate tradizioni intellettuali non consentivano alcun accenno a problematiche religiose. Nonno Luigi era un notissimo archeologo, la madre era una raffinata signora ebrea, il padre un professore universitario.
I Milani abitavano a Firenze, in una grande palazzina, in viale principe Eugenio, al numero 9: “Al primo piano c'erano le camere, le camere padronali e quelle per la servitù. Ognuno aveva la sua stanza. Al piano terreno c'era il salotto, la sala da pranzo, lo studio del signor Milani... Nel sottosuolo si trovava la cucina, una dispensa sempre piena di roba, il ripostiglio del carbone... . Noi della servitù si mangiava in cucina. Invece all'istitutrice portavano il vassoio di sopra: mangiava da sola, dopo aver dato da mangiare ai bambini.”
In questo modo Carola Galastri, balia di Lorenzo, descrive la casa Milani. Non parla degli scaffali pieni di libri e delle opere d'arte sparse nelle stanze e nei giardini.
Ricorda l'istitutrice tedesca, ma non dice niente di come Lorenzo, Adriano e Elena impararono a leggere e a scrivere. Nel salotto, al piano terra, avrà forse urtato oppure alzato lo sguardo all'Apollo Milani, scoperta archeologica del nonno Luigi.
Ricorda la rabbia, ma non porta rancori per essere stata costretta, dalla miseria in cui viveva ad abbandonare, per un anno intero, i propri figli.
Alla giornalista Neera Fallaci che le domanda quante volte ha potuto andare in permesso a casa sua, risponde: “A casa mia? Mai! Mai. I signori Milani erano talmente gelosi. Non si fidavano nemmeno di farmi vedere il marito, per dire. Forse avranno avuto paura che avessi qualche contatto. Io almeno, l'ho pensata in questo modo. Non dicono che il latte fa male al bambino se la donna rimane incinta mentre allatta?. Sono rimasta un anno intero senza vedere né i miei bambini né mio marito.”
Da generazioni, i Milani, producevano cattedratici fatti in casa e si dedicavano a raffinati interessi culturali vivendo tranquillamente di rendita. La tenuta di Gigliola a Montespertoli, composta da 25 poderi, aveva mantenuto intere generazioni di signori e letterati. D'estate, la famiglia Milani, trascorreva le vacanze alla villa “Il Ginepro” al mare di Castiglioncello.
Essendo una tribù numerosissima, si trascinavano dietro una fila di automobili e di aiutanti: cuoco, cameriera, servitore, autista, balia e istitutrice.
Nel '30, i Milani attraversarono un periodo difficile.
La grande crisi economica impediva di vivere di sola rendita e il sig. Albano è costretto ad andare a lavorare a Milano, come direttore di azienda, occupandosi della organizzazione industriale.
Nella città lombarda lo seguiranno la moglie e i figli che lì completeranno gli studi.
A Milano, Lorenzo, passerà tutta la sua infanzia e l'adolescenza.
Le basi culturali ereditate dall'ambiente familiare erano ampiamente superiori a quelle della scuola di quei tempi, perciò, Lorenzo non fu mai uno studente modello! Della formazione ricevuta nella scuola pubblica fascista dirà nella Lettera ai Giudici: "Ci presentavano l'Impero come una gloria della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero.
I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli Etiopici erano migliori di noi.
Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla.
Quella scuola vile, consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini di Mussolini. Anzi, per essere più precisi, obbedienti agli ordini di Hitler. Cinquanta milioni di morti". Tra i morti, 6.OOO.OOO di ebrei.
I coniugi Milani, nonostante avessero verso le religioni un comportamento agnostico, il 29 giugno 1933, sposati solo civilmente, celebreranno il matrimonio in chiesa e battezzeranno i tre figli. In questo modo si difenderanno dalle leggi razziali e dalla persecuzione contro gli ebrei che era iniziata in Germania, con la presa del potere da parte di Hitler.
La giornata che Lorenzo racconta nelle sue lettere, datate in quel periodo, era piena di svaghi. Andava al campo, a tirar di scherma e di palla corda oppure tornava da scuola pattinando. Parlando dei compagni di liceo, dirà in Esperienze Pastorali: "Quei ragazzoni lisci, con la pelle che si strappa al primo pruno, con quel sorriso a dentifricio, con quegli occhi vivaci sprizzanti salute, vitamine, divertimento, vacuità d'anima ...". Lui invece era fragile di bronchi, assai emotivo e non reggeva scene di violenza.
Aspetti della personalità che lo accompagneranno tutta la vita.
Solo per tradizione, nel '37, Lorenzo si iscrive alla prima ginnasio. Lo stesso anno, durante le vacanze, chiede, tra lo stupore della famiglia, di ricevere la prima comunione.
Il 21 maggio '41, a causa della guerra le scuole chiudono, Lorenzo viene dichiarato maturo. In quel momento, esprime il desiderio di cimentarsi nella pittura.
Vive per un anno intero a Firenze e frequenta assiduamente il pittore H.J.Staude. Il padre la ritiene "una bambinata", avrebbe dovuto intraprender una rapida quanto fortunata carriera da intellettuale universitario: "Noi ci si aspettava che prendesse la via accademica, che seguisse la tradizione di famiglia", dirà la madre, "invece, dopo il liceo, volle studiare pittura a Brera".
Lorenzo, a causa del suo anticonformismo, non rinununcia al fascino di una vita "spesierata", ma l'esperienza diretta a contatto con la gente comune sostituisce, con i suoi messaggi "duri", le raffinatezze delle discussioni salottiere a cui era abituato.
Era un ragazzo dalla bella figura slanciata, simpatico, cortese. Aveva l'aria tipica del giovane di famiglia benestante quando, in una parentesi fiorentina mentre faceva merenda in un vicolo, seduto accanto al suo cavalletto, fu fortemente scosso dalla frase di una donna: "Non si mangia il pane bianco nelle strade dei poveri!"
Questo episodio raccontato da lui stesso a Adele Corradi, gli fa confidare: "Mi sono accorto di essere odiato e che me ne importava".
La professoressa Corradi, per anni insegnante alla Scuola di Barbiana, prosegue con questa testimonianza: "Un senso di colpa tremendo che aveva già provato quando l'autista di famiglia lo accompagnava a scuola. Voleva lo scendesse prima, perché si vergognava farsi vedere dai compagni".
Lorenzo Milani Comparetti, un ragazzo ebreo che mangiava il pane bianco dei ricchi, aveva presto preso coscienza dello stato di privilegio in cui viveva, condizionato dal peso della guerra, dall'altrui fame e dalla violenza delle discriminazioni razziali.
Sarà un periodo burrascoso e di sofferente transizione che gli farà abbandonare le "mollezze" e il tipo di linguaggio acquisito in famiglia. "Lorenzino Dio tuo", firmerà così, una lettera disperata a un compagno di liceo, Oreste Del Buono: "... se mi ammazzassi o impazzissi del tutto quando lo vieni a sapere fai una sghignazzata ... . Dicevo a Dio che doveva mandarmi un pittore della mia età. Dicevo: "Fratellino se non me lo mandi sei una vacca. Beh insomma se non me lo mandi almeno fammi piangere. ... Ciao Oreste io son Lorenzino Dio tuo."
Con la pittura, inizia la stravagante vita d'artista "bohémien". E' ancora un giovane che non si è completamente liberato dalle forme di onnipotenza dovute anche all'età. In questo periodo di "decadentismo agnostico", è fortemente influenzato dal "bello e funzionale", di Le Corbusier e dal "lavoro collettivo" nell'architettura. Legge Claudel e si accende d'interesse per la pittura religiosa.
E' proprio attraverso una ricerca sui colori, usati nella liturgia cattolica che Lorenzo si avvicina in qualche modo alla Chiesa.
L'esperienza pittorica lo porta a cercare i significati profondi che stanno dietro l'immagine. Sono proprio questi significati che, una volta compresi, gli faranno superare i valori della cultura ereditata.
Nel settembre del '42 s'iscrive all'Accademia di Belle Arti a Brera. La famiglia, pur non condividendo l'idea, lo aiuta ad aprire uno studio in quella città, ma nel novembre dello stesso anno si trasferisce nuovamente a Firenze. In questo modo, la madre di Lorenzo ricorda tale periodo, scosso dai bombardamenti anglo-americani: "Erano gli anni della guerra. Presto si dovette sfollare da Milano, e ritirarci nella nostra villa di Montespertoli, vicino a Firenze. Lui intanto aveva incominciato ad interessarsi di architettura, oltre che di pittura".
Ma la pittura, arte solitaria, era insufficiente al suo bisogno di comunicare: "Non ho mai creduto, neanche per un momento, che la pittura fosse la strada di Lorenzo Milani ... . Si vedeva che stava volentieri in mezzo ai giovani, e che c'era in lui questo desiderio di vivere in una comunità ...", dichiarerà in un'intervista a Neera Fallaci, con assoluta convinzione, Hans Joachim Staude che era stato il suo maestro di Pittura, nell'estate del '41, e che continuerà a frequentarlo sia a San Donato che a Barbiana.
Il 12 giugno del '43 il giovane Milani, ormai convertito, riceve la cresima dal cardinale Elia Dalla Costa, in forma privata e nella cappella del Arcivescovado dedicata a S.Salvatore. Una conversione secondo la madre nata per gradi, anche se sboccerà improvvisa: "Nacque per gradi. E nacque da un senso di vuoto, d'insoddisfazione ... . Poi, non so come, si ritrovò in mano un libro sulla liturgia cattolica. Lorenzo se ne entusiasmò, ma tutti, lì per lì, si pensò che fosse l'entusiasmo di un esteta. Invece era accaduto, o stava per accadere in lui qualcosa di assolutamente diverso. Di lì a pochi mesi, entrò in seminario".
Una mattina d'estate, siamo nel '43, il giovane Milani entra nella sacrestia di Santa Maria Visdomini nel cuore di Firenze: " ... per salvare l'anima venne da me", dirà in una delle poche testimonianze lasciate mons. Raffaello Bensi, padre spirituale di Lorenzo nel periodo del seminario: "Da quel giorno d'agosto fino all'autunno, si ingozzò letteralmente di Vangelo e di Cristo. Quel ragazzo partì subito per l'assoluto, senza vie di mezzo. Voleva salvarsi e salvare, ad ogni costo. Trasparente e duro come un diamante, doveva subito ferirsi e ferire. E così fu".
Il desiderio d'assoluto era pane quotidiano per il vecchio sacerdote che credeva fra l'altro nelle vocazioni elitarie. Questa relazione lo porterà a ricevere, insieme ad un affetto viscerale, molti grattacapi: "... mi chiamava "il su' babbo" e "il su' nonno", e anche quando pareva che fosse venuto senza scopo, bastava quel certo modo di guardarmi perché capissi che dovevo far qualcosa per aiutarlo. Ho sempre fatto tutto quello che ho potuto, anche se lui, benedetto testone, si cacciava subito in guai peggiori ... ".
(Vedi: Testimonianze - Don Bensi - Intervista di Nazzareno Fabbretti)
All'età di 20 anni, l'8 novembre 1943, abbandona il colto mondo borghese a cui apparteneva e entra nel seminario di Cestello in Oltrarno dove, pur nei contrasti col rettore e i superiori, accetta le dure regole. Da allora sarà obbediente e ribelle a una Chiesa nella quale lui si sentirà inserito e che lo avvicinerà agli strati più poveri della società: "Eppure un giorno che s'era intasato un gabinetto del seminario e c'era due servitori a rimediare, sentii per caso il
discorso del più giovane di loro: "I signori bisogna servirli tutti: da cima ... fino in fondo". Un mio compagno che è nato ricco ed era entrato in seminario tutto gonfio di pio orgoglio di starsi facendo povero coi poveri, restò come pugnalato da questa frase. E sì che a quei giorni in seminario si pativa letteralmente la fame né v'era riscaldamento di sorta".
(Vedi: Opere - Esperienze pastorali)
L'eliminazione del soggettivismo del signorino e l'onnipotenza di Lorenzino Dio e Pittore, grazie all'aiuto del vecchio sacerdote, lo porteranno a una maggiore predisposizione all'ascolto e all'"attesa" della verità che viene dall'alto. L'azione della fede lo porterà a spogliarsi di ogni privilegio: "E pensare che mi son fatto cristiano e prete solo per spogliarmi d'ogni privilegio!"
Sarà una scelta che farà soffrire. I genitori non saranno presenti alla cerimonia della tonsura, atto di rinuncia al mondo per poter entrare nello stato ecclesiastico. La scelta sacerdotale lo costringerà a diversi piani di relazione. Scopre che non sempre si può comunicare e che esiste un livello che funge da soglia. La soglia della coscienza, dove risiede la parola, non era raggiungibile dal popolo.
Il montanaro di Barbiana aveva bisogno di un tramite e di una proposta unificante: la scuola!
Da sacerdote non amerà rivolgersi ai borghesi e agli studenti. Gli intellettuali, secondo lui, vivono un mondo sterile e fatto di dettagli: "... io parlo, e scrivo, non per farmi incensare dai borghesi come uno di loro".
In "Università e pecore ", mettendo a confronto i mondi dell'infanzia in famiglia e della maturità tra i contadini di Barbiana, il priore si racconta.
Parla di due mondi separati da confini invalicabili della cultura e che lui, passando da un mondo all'altro, riusciva a vedere entrambi con l'occhio curioso e attento del convertito. E' impressionato dai processi culturali per cui una parte dell'umanità, obbligata ad estraniarsi dalla propria coscienza, si identifica e diventa strumento passivo della realtà materiale che la circonda: le mode. Combattere l'alienazione per trasformare i metodi e i criteri di un sistema consumistico, diventato regime, sarà il suo modo di aderire alla realtà, sia come uomo che come credente.
Un' aderenza che lo porterà a vedere nella mancanza di parola la miseria del popolo che gli era stato affidato. Un popolo che non si era ancora intimamente corrotto e nel quale, dietro alla maschera, vede innocenza e candore. Ancora sono lontani i tempi in cui il potere del consumismo volgare ci omologherà tutti e ci porterà, come dirà Pasolini, alla perdita del sacro.
"Università e pecore" è un'opera che il Priore ha tenuto in archivio per tutta la vita e che non ha mai gettato nemmeno quando, prima di lasciare Barbiana e sapendo di andare a morire, distrusse tutto quello che non voleva fosse pubblicato. Ciò convaliderebbe una lunga e attenta verifica da parte dell'autore. In questa opera, scritta a un amico magistrato, il sacerdote, descrive, in un episodio reale e crudo, la vita dei pecorai, Adolfo e Adriano, e del signorino: "... così Adolfo ha passato la sua infanzia colle pecore e ora è grande e lavora invece il podere e colle pecore manda Adriano. E Adriano ha già 10 anni ma è analfabeta come il suo babbo solo perché non può andare a scuola perché ha da badare le pecore che hanno da fare la lana e gli agnelli e il cacio. E poi si vende la lana e gli agnelli e il cacio e la metà d'Adolfo basta solo per campare mentre la metà del signorino messa insieme a altre metà di altri poderi basta bene per andare a scuola fino ai 35 anni e far l'assistente universitario volontario cioè non pagato e vivere nei laboratori e nelle biblioteche là dove l'uomo somiglia davvero a colui che l'ha creato che è sola mente e solo sapere".
Lottando per la liberazione del povero dall'alienazione della materia, cioè dal solo lavoro, il Priore consente a una cultura muta il diritto alla parola: " ... la povertà dei poveri non si misura a pane, a casa, a caldo, ma si misura sul grado di cultura e sulla funzione sociale ...".
Un diritto che difenderà sempre, con rigoroso anticonformismo. Non sarà "occasionale" o "ideologica" la scelta dei poveri, ma determinata dal senso di colpa, dall'amore e dalla concretezza dei rapporti che instaurerà con i suoi popolani.
Il suo desiderio di giustizia mette a fuoco l'indifferenza della gente, una indifferenza che lui definirà cieca e assassina: "Ma domani, quando i contadini impugneranno il forcone e sommergeranno nel sangue insieme a tanto male anche grandi valori di bene accumulati dalle famiglie universitarie nelle loro menti e nelle loro specializzazioni, ricordati quel giorno di non fare ingiustizie nella valutazione storica di quegli avvenimenti.
Ricordati di non piangere il danno della Chiesa e della scienza, del pensiero o dell'arte per lo scempio di tante teste di pensatori e di scienziati e di poeti e di sacerdoti.
La testa di Marconi non vale un centesimo di più della testa di Adolfo davanti all'unico Giudice cui ci dovremo presentare.
Se quel Giudice quel giorno griderà: "Via da me nel fuoco eterno" per ciò che Adolfo ha fatto colla punta del suo forcone, che dirà di quel che il signorino ha fatto colla punta della sua stilografica?
E se di due assassini uno ne vorrà assolvere, a quale dei due dovrà riconoscere l'aggravante della provocazione? "
(Vedi: Università e pecore cliccando sulle: "Opere")
La vita e gli eventi quotidiani diventano memoria storica di soprusi e angherie che avvengono davanti ai suoi occhi e dentro il suo popolo. La sua figura ha rappresentato, in questo secolo, un momento di riflessione dell'uomo su se stesso, completa delle esperienze vissute sia nella condizione di ricco che in quella di povero.
I valori e il potere della lingua, appresa e assimilata dentro una "scuola del reale" , quale fu per lui l'ambiente familiare, lo portò a credere che solo la parità culturale avrebbe dato dignità all'uomo, per natura artista e creativo. Un messaggio profetico, non moralistico e che educa al rifiuto di una vita ripetitiva.
Le novità per il priore rappresentavano la gioia di vivere, di combattere e di conoscere: " ...il maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare i "segni dei tempi", indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare domani e che noi vediamo solo in confuso ...".
Nell'assoluta mancanza di riferimenti, non siamo capaci di spiegare il suo comportamento così anticonformista verso il "piacere materiale", il "disimpegno" e il "privato". Le famose tre M: moglie, macchina e mestiere.
Vede il Parlamento completamente dominato dal "Partito Italiano Laureati". Il suo pensiero, fuori da ogni schema e sofferto, parla direttamente all'anima.
Lorenzo Milani contrappone alla ricerca del benessere economico, della riuscita scolastica o professionale quello che per lui sarà il massimo delle aspirazioni: il piacere di sapere per non essere subalterni. Liberandosi, con l'insegnamento, dalle colpe materialiste e atee dei signori, libera i poveri dall'analfabetismo. L'intercapedine dura che separa l'uomo dal messaggio evangelico.
Agire dentro la Storia ha, per lui come per papa Giovanni, valenza di fede. E' la fede di San Francesco, un santo che non proviene dalla gerarchia. Va subito detto che, per il priore, la Chiesa rappresenta l'emancipazione e liberazione del popolo di Dio. E' un Dio immanente, quello in cui Lorenzo crede. Un Dio che interagisce con la storia delle sue creature. Un Dio che soffre, rinasce e è trino.
E' la fede che risponde a un grande santo a lui caro, l'apostolo Paolo, che scuote il cristiano convertito dicendo: "Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio. Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini. Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce".
Una fede che ha riscoperto il grande valore delle culture "subalterne" e che, volendo conservare Dio all'interno delle proprie tradizioni, non vuole assimilare la cultura materialista e atea della classe dominante. Nella futura società, quella della manipolazione genetica e delle nuove tecnologie della comunicazione, bisognerà ricredere in ciò che è essenziale alla vita per poter condividere le risorse e per salvare noi e il pianeta: ... altrimenti, il Dio motore della Storia se ne andrà portandosi dietro tutti i suoi santi, Lorenzo compreso, e chissà per quanto tempo.