45 anni di dubbio e ricerca
don Luigi Ciotti
[il manifesto · 22 novembre 2009]
Dubbio e ricerca sono due momenti fondamentali della cultura. Il dubbio nasce dal confronto con la realtà. La ricerca è il dubbio trasformato in prospettiva, in orizzonte. E' il dare una direzione alla nostra inquietudine, alla nostra fame di "oltre".
Nei suoi 45 anni di vita, il Gruppo Abele ha sempre creduto in questa dimensione della cultura. Ha creduto che l'accoglienza, l'incontro e il servizio alle persone, dovessero saldarsi all'impegno per la giustizia sociale, per un futuro in cui l'accoglienza non è affidata all'agire di qualche associazione, ma garantita da politiche e da leggi radicate nella coscienza di ciascuno di noi.
Per noi attività culturale ha significato che l'accoglienza non può tacere sulle cause delle ingiustizie, delle discriminazioni, delle povertà. Accogliere è il più umano degli atti ma il suo significato è anche politico. Da questo convincimento sono derivate molte delle nostre battaglie, a partire da quella sulla droga che è cominciata - era il 1973 - con un centro droga aperto giorno e notte sulla strada e che ha portato a una nuova legge che non criminalizzava i tossicodipendenti. Oppure, ancor prima, quella sul carcere minorile, che prese il via con una tenda che montammo in centro a Torino. Da quella esperienza scaturirono molte iniziative e una delle idee forti che hanno sempre accompagnato negli anni l'operare del Gruppo Abele: disadattati e delinquenti non si nasce, ma si diventa. Uno slogan per certi versi ancora attuale.
Ma attività culturale vuol dire anche "prendersi cura" del contesto sociale, così come l'accoglienza si prende cura della persona. Da qui l'università della strada, il centro studi e ricerche, le riviste, la libreria, la casa editrice.
In questo percorso abbiamo avuto un maestro: la strada che con i suoi volti e le sue storie è il più intransigente ma anche il più vero dei maestri. Perché smaschera i "voli pindarici", la mancanza di umiltà, i saperi superficiali che nascondono il vuoto di profondità. La strada è sempre stato il nostro punto di riferimento, nei servizi come nel pensare e fare ricerca.
Oggi però questo lavoro culturale chiede un salto di qualità. Non solo la povertà si è diffusa, ha toccato persone e ceti fino a poco fa garantiti, ma è cresciuto anche il conflitto sociale, la diffidenza reciproca e la paura del "diverso". Oggi il sociale deve saper parlare anche alle paure, avvicinare mondi che non hanno i nostri riferimenti, e che magari ci guardano con diffidenza, con ostilità. Al tempo stesso il sociale deve recuperare un ruolo politico. Le nostre ragioni oggi non trovano sufficiente rappresentanza sulla scena politica: c'è chi ha sottovalutato certe derive, o magari ha inseguito i maestri della demagogia sul terreno del facile consenso. Il risultato sono le leggi sulla sicurezza, il mostro giuridico chiamato reato di clandestinità, il riaffiorare del razzismo e dell'omofobia, la corruzione dilagante e la "legalità sostenibile", strattonata a seconda delle convenienze, costante mediazione fra lecito e illecito a vantaggio di pochi. Il risultato è il vuoto culturale, la stagnazione, il deserto di significati, la povertà di contenuti.
Per fare tutto ciò dobbiamo partire anche dai nostri errori e chiederci in che cosa siamo stati tiepidi, distratti, accomodanti. Chiederci se il sociale ha davvero fatto tutto il possibile per proporre prospettive diverse. Se ha saputo fare quello che la politica troppo spesso non è più capace di fare: trasformare la paura in speranza. Ecco allora l'importanza di saper comunicare anche a chi la pensa in modo diverso da noi. Ed ecco il senso di noialtri. Nel linguaggio corrente è un'espressione che sottolinea un'identità gelosa: noialtri come "proprio e soltanto noi". Noi vogliamo ribaltare questo significato e pronunciarlo come parola aperta che salda il "noi" - la dimensione della corresponsabilità - con l'orizzonte della diversità. Noialtri come consapevolezza che il cambiamento ha bisogno di noi, ma il "noi" non può avere fine né confine: il noi è inclusione degli altri perché sono sempre gli altri a rivelarci chi siamo, a custodire il segreto della nostra identità.