Cambiare la scuola si può

Chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara

Gianfranco Zavalloni Saluta così!

 

INTERVENTO DI MIMMA VISONE AL CONVEGNO DEL 29 MAGGIO 2010
TEATRO GIOTTO - VICCHIO

Barbiana era la scuola dell’adolescenza,
dove si apprendeva insieme
nonostante la scuola fosse ancora per pochi.
Erano gli anni in cui le famiglie emigravano al Nord
e non conoscevano la lingua italiana,
erano gli anni in cui il compianto Ivan della Mea, nella sua ballata,
ci ricordava di Ciriaco Saldutto e della sua tragica fine!

* * *

DAL CENTROSINISTRA ALL'AUTUNNO CALDO - 1963-1969
Ballata per Ciriaco Saldutto
Lui ha quindici anni,
cognome Saldutto,
alunno alle medie,
scuola Pacinotti,
venuto di Puglia, "terrone" immigrato:
Torino lo boccia e lui s'è impiccato.
Per essere chiari diciamo: è un delitto,
un altro delitto della repressione,
che usa la legge, il fucile, la scuola
per farci più servi del nostro padrone.
Si sa che il padrone le sue maestranze
le vuole istruite e ben educate;
con la sua cultura, la sua disciplina
lui plasma i servi di ogni officina.
La tua cultura e del tuo paese,
sia chiaro, "terrone", va buttata via;
la scuola ti dà un'altra cultura,
quella dei padroni, della borghesia
E tu puoi scordare l'azzurro del cielo
di Puglia e il dialetto della tua terra:
tuo cielo è la FIAT, tua terra è Torino,
la scuola, Saldutto, è il campo di guerra.
Ma non c'è battaglia, non c'è condizioni,
"terrone", ti adegui oppure accadrà
che la repressione di tutti i padroni
con l'arma del voto ti escluderà.
Così a quindici anni
ti han tolto anche il cielo
e in cambio ti han dato
un vuoto di niente,
e l'ultimo gioco che ti han lasciato
è un pezzo di corda: ti sei impiccato.
Per fare chiarezze diciamo: è un delitto,
un altro delitto della repressione,
che usa la legge, il fucile, la scuola
per farci più servi del nostro padrone

Erano gli anni in cui la legislazione non era certo a favore dei più poveri,
o meglio, lo era , ma solo sulla carta!

"Espulsa dalla scuola l'educazione emotiva,
 l'emozione vaga senza contenuti a cui applicarsi,
ciondolando pericolosamente tra istinti di rivolta,
che sempre accompagnano ciò che non può esprimersi,
e tentazioni d'abbandono in quelle derive di cui
il mondo della discoteca, dell'alcol e della droga
sono solo esempi neppure troppo estremi"
U. Galimberti Parole nomadi

"Troppo spesso ci capita di dover affrontare
dilemmi postmoderni con un repertorio emozionale
 adatto alle esigenze del Pleistocene"
D. Goleman, Intelligenza emotiva.
Rizzoli, Milano, 1999

Senza voler entrare nel merito delle disquisizioni psicopedagogiche, si sa che l’adolescenza è un’età difficile,connotata da specifiche caratteristiche. Si sa anche, però, che i successi scolastici rafforzano l’autostima … Ma  come è possibile raggiungerli ?
Sicuramente, creare contesti di apprendimento sereno è il presupposto, il terreno fertile in cui seminare. Difatti, in un ambiente classe in cui gli alunni abbiano trascorso tempo dedicandolo alla conoscenza dei compagni, al raggiungimento di comuni obiettivi, decisamente l’apprendimento è più agevole. Ma non solo! Imparare insieme, dedicarsi ad attività  con spirito collaborativo, dedicarsi alla produzione di testi usando la tecnica della scrittura collettiva, aiuta ad imparare, a strutturare un metodo di lavoro e a far riconoscere a ciascuno il proprio potenziale, il contributo che è in grado di dare all’altro. In tale contesto, dare spazio alle emozioni è basilare. Dedicare tanto tempo alle conversazioni in cerchio, durante le quali poter esternare tutti quegli stati d’animo, quelle emozioni che, in contesti diversi, gli alunni nemmeno sanno di provare, diventa “il modo” per vivere la scuola con serenità ed empatia. E la parola è il veicolo, il mezzo che tiene in comunicazione Il proprio mondo interiore con quello esterno.
Ogni parola che non conosci è una fregatura in più, è una pedata in più che avrai nella vita
La parola, a Barbiana, è il muro che impedisce ai poveri di essere cittadini sovrani e di comprendere il messaggio evangelico, la parola, ancora oggi, è il muro  che non  consente di esprimere il proprio pensiero e di capire quello  altrui e, nello stesso tempo, che non permette agli uomini di essere solidali con gli altri uomini.
Tuttavia, raggiungere i successi scolastici, usare in modo proficuo la parola, rimane impresa ardua se la scuola è intesa come dovere?
Poco, infatti, si parla di scuola come diritto!
Quanti alunni conoscono l’esistenza dello Statuto delle Studentesse e degli Studenti?
A scuola, noi insegnanti da un lato e gli alunni dall’altro, dobbiamo raggiungere una serie di traguardi … ma chi ricorda ai ragazzi che esistono anche per loro dei diritti?
Sono considerati soltanto consumatori

" mentre possono essere, a vari livelli,
produttori, organizzatori,
modificatori dell'esistente, inventori del nuovo,
attitudini delle quali la nostra società
tecnologica e burocratica ha disperatamente bisogno."

F. Dolto. Adolescenza
Mondadori - Milano - 1995

A tale proposito, vorrei ricordare un’esperienza di scrittura collettiva tenuta qualche tempo fa, su di un tema, nato dal bisogno degli alunni che si accingevano a scegliere per le superiori, “La scuola, diritto o dovere?” Consapevoli di ciò che spetta a tutti ed a ciascuno, ricordando le varie norme, lo scritto terminava nel modo seguente:
“… Ci piace, a questo proposito,, andare all’etimologia del verbo “educare” che, dal latino, e = fuori + ducere= condurre, ha il significato di condurre fuori, allevare. Quindi, sicuramente, è compito  della scuola e della famiglia educare. Ma è nostro dovere, nel rispetto della nostra persona, far valere  i diritti,, soprattutto quando ci rendiamo conto di essere privati della libertà.
Pertanto, ci piace pensare al verbo dovere alla prima persona: io devo, e non all’imperativo: devi. Forse perché il verbo dovere è come il verbo amare e il verbo leggere: “… non conosce l’imperativo” (pensiero del francese D.Pennac, professore e scrittore, di cui ricordiamo il recente “Diario di scuola”). Quindi, così come solo quando si ama e si legge veramente, si provano forti emozioni, allo stesso modo “dobbiamo” quando abbiamo capito cosa vogliamo, dove andiamo, insomma, quando abbiamo raccontato e ci siamo raccontati, quando abbiamo compreso la nostra relazione con gli altri, quando abbiamo operato le nostre scelte”.
Altra esperienza che vorrei riportare, che riconduce al discorso della scuola come diritto oltre che dovere, è quella vissuta in questo anno scolastico in occasione del Premio Elsa Morante Ragazzi. Il libro decretato vincitore dai ragazzi è stato “NO” di Paola Capriolo, in esso la scrittrice ricorda uno dei “NO” che ha fatto storia e cioè quello di Rosa Parks. Ancora in questo anno scolastico, gli alunni della scuola hanno incontrato il giudice Gherardo Colombo che ha centrato l’attenzione del suo intervento sulle regole. La domanda, di seguito riportata, rivolta da un’alunna al giudice, recitava: “E’ facile disobbedire piuttosto che rispettare le regole. La regola è l’altra faccia della convivenza. Un’altra faccia potrebbe essere la disobbedienza? Dire NO, uscire da schemi e da regole che non tutelano i nostri diritti e che non ci rispecchiano, può essere dimostrazione di coraggio. Abbiamo letto, in occasione della nostra partecipazione come giurati al Premio Elsa Morante Ragazzi 2010, il libro risultato vincitore dal titolo NO di Paola Capriolo. Nel libro si fa riferimento ad un NO, quello proferito da Rosa Parks: No, non voglio alzarmi. Quindi, una disobbedienza, la stessa che don Lorenzo Milani ha usato pronunciandosi a favore dell’obbiezione di coscienza, motivo per il quale subì un processo. O anche quella della prima manifestazione degli extracomunitari, tenutasi il primo marzo 2010. Molte volte, non obbedire è uno strumento di responsabilità e di riconoscimento dei propri diritti. La disobbedienza, quindi, è una virtù?”
Pertanto, ancora una volta, il bisogno nasceva dalla necessità di veder tutelati  i propri diritti, in una società che dovrebbe essere “orizzontale”.
Il tempo dei risultati
“Se ognuno di voi sapesse che ha da portare innanzi a ogni costo tutti i ragazzi e in tutte le materie, aguzzerebbe l’ingegno per farlo funzionare. Io vi pagherei a cottimo. Un tanto per ragazzo che impara tutte le materie. O meglio multa per ogni ragazzo che non ne impara una. Allora l’occhio vi correrebbe sempre su Gianni. Cerchereste nel suo sguardo distratto l’intelligenza che Dio ci ha messa certo uguale agli altri. Lottereste per il bambino che ha più bisogno trascurando il più fortunato, come si fa in tutte le famiglie. Vi svegliereste la notte con il pensiero fisso su lui a cercar un modo nuovo di fare scuola, tagliato su misura sua. Andreste a cercarlo  a casa sua se non torna. Non vi dareste pace, perché la scuola che perde Gianni non è degna di essere chiamata scuola”
( “Lettera a una professoressa”p.82)
“Si capisce bene cos’è una scuola quando la viviamo come se fosse il luogo dove si entra competitivi, aggressivi, razzisti e, dopo aver lavorato e studiato insieme per bisogni comuni, si esce rispettosi degli altri, amici, tolleranti.
La scuola è un concentrato di esperienze, una “grande avventura” che può essere vissuta come se fosse: un viaggio, un libro da scrivere insieme, uno spettacolo teatrale, un orto da coltivare, un sogno da colorare…”
E’ questo il decimo punto del documento “Cambiare la scuola davvero si può”.
E’ in tale ottica che lo sforzo di ogni insegnante dovrebbe essere orientato!
Sì, è vero, si potrebbe obiettare che il programma dovrebbe essere svolto secondo certi canoni; ma snocciolare a memoria date e argomenti, a cosa può tornare utile se,poi,  non si conosce il compagno di classe o non si sa raccontare di sé?
Dopo l’esperienza di quest’anno scolastico, so che Marco è stato recuperato e sottratto alla strada, che almeno per il momento non andrà  in carcere come i suoi fratelli. So che lui, ora, riesce a cercare in internet ciò che gli serve, è quindi in grado di fare una ricerca e vuole continuare gli studi, da grande vuole fare lo chef su una nave da crociera.
So che Giovanna ha avuto modo di tirar fuori la sua emotività, raccontando cose mai dette!
So che Simone, che ha raggiunto ottimi risultati nei Giochi Sportivi, avrebbe desiderato venire all’incontro con lo scrittore, anziché recarsi alla partita … ma so anche che lui ha rinunciato per rispettare l’impegno preso in precedenza.
So che i ragazzi tutti sapranno meno date rispetto a quelli delle altre classi, ma si rispettano, non tirano colpi mancini, ci sono nel momento del bisogno dell’altro …
Esiste la scuola dell’adolescenza?
Torniamo alla domanda di partenza: “Esiste la scuola dell’adolescenza?”
Volendo provare a dare una risposta, viene spontaneo dire che, in quanto alle possibilità relative a norme, potenziali e cronologia, esiste la scuola dell’adolescenza.
Ciò che non esiste è una scuola per gli adolescenti, ai quali, ancora oggi, viene fatto credere che a tutto loro sono dovuti, devono far questo o quello, imparare capitoli, svolgere programmi e … anche fare i girotondi per solidarietà con i professori!
Ciò che non esiste è una scuola nella quale venga ricordato ciò che spetta ai ragazzi come diritto inalienabile, sancito dalla Costituzione, dalla Dichiarazione dei Diritti Universali dell’uomo, dalla Dichiarazione dei Diritti dell’infanzia e dallo Statuto delle Studentesse e degli Studenti.

 

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