Cambiare la scuola si può

Chi ascolta dimentica, chi vede ricorda, chi fa impara

Gianfranco Zavalloni Saluta così!

 

La parrocchia di Santomato è una realtà che già da anni sta compiendo un percorso di
fede, collocata all’interno di una dimensione comunitaria in cui presbitero e laici svolgono il loro ruolo di battezzati, ognuno secondo i carismi ricevuti.
In questo cammino ci sono dei punti di riferimento costanti, costituiti dall’ascolto della Parola di Dio e l’impegno nella realtà locale esplicato nella catechesi (Prima Comunione, Confermazione, post-cresima, battesimale...), nella Caritas, nel gruppo d’acquisto solidale, nell’associazione “Libera”, nell’aggregazione delle famiglie, attraverso incontri e momenti di fraternità.
L’attività ci ha consentito di riflettere sulle problematiche che attraversano la Chiesa nel suo insieme e sulle complessità che caratterizzano l’attuale contesto sociale, in particolare ci siamo più volte chiesti quale sia il ruolo di agenzie formative comunemente intese, come famiglie, scuole, nei rapporti col mondo giovanile colto nel suo complesso (dall’infanzia alla tarda adolescenza).
Così, oggi, siamo qui a portare il nostro contributo sulla problematica che investe il ruolo della scuola nei confronti dei destinatari privilegiati dell’azione educativo formativa che la scuola pubblica è chiamata a svolgere.
Ormai da alcuni decenni la condizione dell'adolescente ha acquistato alcune caratteristiche legate alle trasformazioni che hanno attraversato l'economia, la società di massa e le sue coordinate culturali.
L'adolescenza si è prolungata e all'orizzonte è sempre più difficile scorgere un futuro verso cui tendere e una possibilità di vita da assumere come propria.
La famiglia, spesso appiattita in logiche consumistiche e provata dalle difficoltà economiche, regge sempre meno anche sul piano affettivo e spesso non fornisce solidi modelli di riferimento.
Gli adolescenti vivono più ampi spazi di libertà e di scelta per quanto riguarda l'utilizzazione del loro tempo libero, ma a questo, in una prolungata dipendenza dalla
famiglia, non corrisponde una vera libertà nel costruire la propria vita e il proprio futuro.
Il ripiegamento nel privato e in logiche individualistiche ha indebolito il seso dell'appartenenza sociale e la responsabilità verso il bene comune; la vita risulta spesso schiacciata sul presente e sull'insignificanza della società dei consumi.
La recente crisi finanziaria, le sue gravi conseguenze sull'economia reale in termini di tagli alla spesa pubblica e disoccupazione, l'incapacità della politica di andare oltre l'amministrazione dello stato di cose esistenti e di prospettare credibili orizzonti di cambiamento non possono che avere pesanti ricadute sul disagio giovanile nelle sue diverse manifestazioni.
Il grande potenziale di energia psico-fisica che l'adolescenza porta in sé, se non incanalato positivamente nella costruzione di un progetto di vita e in costruttive relazioni sociali, rimane compresso in un caos interiore che, alla ricerca di una forma in cui esprimersi, si manifesta in ribellismo, bullismo, autolesionismo, ricerca di situazioni estreme in cui annegare la solitudine e un senso della vita non trovato.
Non più rassicurante è l'assunzione di comportamenti conformisti tutti improntati all'emulazione dei modelli vincenti, del consumismo, del successo a tutti i costi, dell'individualismo e del rifiuto dell'altro.
Anche la scuola vive una crisi profonda perché invece di investire si tagliano le risorse e se ne indebolisce alla radice il suo stesso funzionamento, ma anche perché, al di là della trasmissione degli specifici contenuti disciplinari, fa fatica a interrogarsi sulla sua funzione educativa nel grave e complesso contesto storico che stiamo vivendo.
I docenti, che credono ancora nell'irrinunciabile vitalità dell'antico concetto di paideia, non possono che avvertire, come un insopportabile segno di straneamento, il vuoto di riflessione, di confronto, di responsabilità condivisa, che vivono nell'ambiente scolastico sulla funzione educativa della scuola stessa, su cosa significhi costruire un ambiente educante, su cosa significhi oggi formazione dell'uomo e del cittadino.
Viene in mente don Milani e il suo impegno a dare ai suoi ragazzi tutte le opportunità possibili perché potessero diventare cittadini sovrani.
Ma c'è spazio per don Milani nella scuola di oggi? Non c'è certo la volontà politica di rilanciare una riflessione sulla funzione educativa della scuola e di aprire spazi di confronto sulla costruzione di un progetto condiviso.
E gli insegnanti? In molti vivono una condizione di precarietà per l'incombere della perdita del posto di lavoro e comunque si trovano per lo più in una situazione di solitudine a fare i conti con le proprie motivazioni e con il senso del proprio lavoro. E naturalmente mancando una riflessione comune e un progetto condiviso gli esiti risultano essere i più diversi.
Occorrono allora strumenti di analisi sul piano economico-sociale, psicologico e pedagogico, occorre una formazione adeguata degli insegnanti e occorrono anche scelte coraggiose nel modo di fare scuola almeno da parte di chi non vuole abdicare alla funzione educativa del docente.
Di nuovo: c'è spazio per don Milani nella scuola di oggi? C'è spazio per quella scuola che, come afferma nella “Lettera ai giudici”, deve porsi fra passato e futuro e ha il compito “di condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità (e in questo somiglia alla vostra funzione), dall'altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico (e in questo si differenzia dalla vostra funzione)”. C'è ancora spazio per la formazione di quel famoso senso critico che dovrebbe essere il risultato del processo formativo?
Certo il contesto politico ci pone in una posizione di resistenza: la Costituzione è costantemente attaccata, si tenta di delegittimare e ostacolare il lavoro della magistratura e di imbavagliare l'informazione con la legge contro le intercettazioni telefoniche. Anche sugli insegnanti pesa questa cappa autoritaria che li vuole destinatari passivi e esecutori fedeli di decisioni prese lontano dal mondo della scuola.
Viene a questo proposito da pensare che davvero l'obbedienza non è più una virtù ma
la più subdola delle tentazioni e che se non vogliamo abdicare alla funzione educativa non possiamo rinunciare a pensare alla possibilità di una scuola diversa da quella attuale.
La scuola a cui pensiamo è una scuola di qualità, con insegnanti competenti e formati, motivati e credibili, che pongano al centro non se stessi o il feticcio del programma ma il bisogno di crescita degli studenti, di tutti gli studenti nelle loro diversità e nella unicità di ciascuno.
Una scuola che dia agli studenti gli strumenti per capire il presente, una scuola che non tenda ad appiattire ed omologare con la richiesta di prestazioni sui contenuti fine a se stesse, o meglio finalizzate a mettere voti sul registro.
Una scuola come ambiente educante che si colloca nel contesto sociale e con esso interagisce, luogo di comunicazione sana e di confronto aperto fra tutte le componenti (genitori, insegnanti, studenti) e aperta al territorio.
Una scuola che, grazie alla spinta propria dei soggetti coinvolti, diventi “un paio di occhiali per leggere la realtà”, e sprigioni la forza innovativa per costruire dal basso la realtà stessa come società plurale, libera e creativa.
E ritorna in mente don Milani e i suoi ragazzi per i quali la scuola non era qualcosa di staccato dalla vita ma era la loro vita stessa.
Allora ecco l'importanza di utilizzare i contenuti come strumenti per affrontare problemi realmente sentiti e vissuti, ecco l'importanza di coinvolgersi e coinvolgere nel processo educativo come persone tutte intere in un rapporto che, per generare effettive trasformazioni, deve saper rompere gli angusti confini dell'intelligenza astratta avulsa dal vissuto per coinvolgere la sfera emotiva e dei significati.
Ecco la necessità di liberarsi dalla tradizionale impostazione cumulativa del sapere, dalle chiusure disciplinari e tanto più dall'idolatria del libro di testo e saper aprire varchi attraverso cui le discipline possano comunicare. Occorre un'ottica trasversale capace di affrontare la complessità, occorre attivare un processo di insegnmentoapprendimento in cui da un lato i docenti si mettono in gioco entrando in un rapporto di stretta collaborazione sia sul piano della programmazione che a livello operativo, dall’altro gli studenti si pongono come protagonisti del loro percorso di ricerca.
Occorre non aver paura di perdere tempo ma lasciarsi interpellare dall'irrompere del“motivo occasionale” per saper “risalire al motivo profondo”.
Saper perdere proficuamente tempo perché la scuola sia vissuta come vita vera presuppone una solida competenza professionale e la sincera disponibilità a mettersi in gioco sul piano personale. Occorre essere allenati all'ascolto del proprio mondo interiore e dell'altro per cogliere tutte le possibilità di incontro, condivisione e collaborazione e vedere nel rapporto educativo un' opportunità di crescita personale sia per lo studente che per il docente.
Occorre incrinare la rigidità degli orari, e aprire le porte delle aule, togliere di mezzo la cattedra e quei banchini in cui i ragazzi sono normalmente costretti, anche quando ormai sono alti un metro e ottanta, la cui disposizione li porta inoltre a darsi le spalle senza neppure potersi guardare in faccia. Occorre infine poter lavorare non con classi superaffollate ma con piccoli gruppi (max 20 studenti) per favorire la relazione e la circolarità delle conoscenze e delle abilità in uno scambio di aiuto tra “pari” e con adulti-consulenti.
Nella nostra esperienza di vicinanza ai giovani impegnati nella scuola pubblica percepiamo come impellente la necessità di una irrinunciabile innovazione metodologica e didattica:
a) Rottura delle barriere disciplinari e ricostruzione della complessità della problematica affrontata attraverso un approccio transdisciplinare; sostituzione della tradizionale impostazione cumulativa, che tende a presentare i contenuti in modo frammentato, con conseguenti sovrapposizioni e sfasature temporali, con una trattazione organica attraverso l’integrazione dei diversi approcci disciplinari.
b) Attivazione di un processo di insegnamento-apprendimento in cui da un lato i docenti si mettono in gioco entrando in un rapporto di stretta collaborazione sia sul piano della programmazione che a livello operativo, dall’altro gli studenti si pongono come protagonisti del loro percorso di ricerca.
c) Educazione al dubbio, al cambiamento e al pluralismo nell’incertezza e nella relazione con …
d) Potenziamento dell’immaginazione a partire dall’allenamento al pensiero divergente.


La comunità di Santomato.
Parrocchia di S.Maria Assunta,
Pistoia

 

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