Scuola di Barbiana
Lorenzo parla del suo metodo
Uno dei reperti più utili per capire le logiche cognitive di Lorenzo è la corrispondenza che seguirà. Viti e bulloni, dell'intero meccanismo scuola, sono rappresentati anche dalla Scrittura Collettiva che attraverso il dialogo tra maestro e allievo, e tra allievo e allievo, consente di trasferire le idee, dal livello dell'orecchio, a quello della bocca e della penna. Arricchendo in modo esponenziale il linguaggio personale e collettivo. Nel caso in oggetto, gli alunni della scuola elementare di Vho di Piadena (Cremona) e il loro maestro, Mario Lodi, avevano proposto ai ragazzi di Barbiana di tenersi in corrispondenza. Per il Priore fu l'occasione per esprimere ulteriormente la tecnica dell'arte umile della scrittura collettiva. Nella lettera allegata si legge il tema dato dal Priore: “Lettera ai ragazzi di Vho di Piadena”. Il testo collettivo è accompagnato da una spiegazione scritta dal maestro al maestro. Questa lettera è indispensabile per comprendere uno degli strumenti che maggiormente qualificano “la cassetta degli attrezzi” della Scuola di Barbiana.
Barbiana, 2 novembre 1963
Caro maestro, le accludo la lettera. La ringrazio d'averci proposto quest'idea perché me ne sono trovato molto bene. Non avevo mai avuto in tanti anni di scuola una così completa e profonda occasione per studiare coi ragazzi l'arte dello scrivere. Per noi dunque tutto bene anzi sono entusiasta della cosa. Per voi invece temo che la lettera non vada. Lanciati a studiare il massimo di capacità di esattezza d'espressione di questi ragazzi ci siamo un po' dimenticati dell'età dei lettori. Non che non ci si pensasse, ma è successo un fenomeno curioso che non avevo previsto, ma che dopo il fatto mi spiego molto bene: la collaborazione e il lungo ripensamento hanno prodotto una lettera che pur essendo assolutamente opera di questi ragazzi e nemmeno più dei maggiori che dei minori è risultata alla fine d'una maturità che è molto superiore a quella di ognuno dei singoli autori. Spiego la cosa così: ogni ragazzo ha un numero molto limitato di vocaboli che usa e un numero molto vasto di vocaboli che intende molto bene e di cui sa valutare i pregi ma che non gli verrebbero alla bocca facilmente. Quando si leggono ad alta voce le 25 proposte dei singoli ragazzi accade sempre che l'uno o l'altro ( e non è detto che sia dei più grandi) ha per caso azzeccato un vocabolo o un giro di frase particolarmente preciso o felice. Tutti i presenti (che pure non l'avevano saputo trovare nel momento in cui scrivevano) capiscono a colpo che il vocabolo è il migliore e vogliono che sia adottato nel testo unificato. Ecco perché il testo ha acquistato quell'andatura e quel rigore di adulto (direi, anche di adulto che misura le parole! animale purtroppo molto raro ). Il testo è cioè al livello culturale dell'orecchio di questi ragazzi, non al livello della loro penna o della loro bocca. Le descrivo come abbiamo proceduto. Primo giorno: un intero pomeriggio (5 ore) a disposizione per comporre liberamente una lettera a voi sul tema: “ Perché vengo a scuola ”. Secondo giorno: un altro pomeriggio a leggere a alta voce i lavori appuntando via via su dei foglietti tutte le idee, le frasi, le espressioni particolarmente felici. Terzo giorno: una mattinata a riordinare questi foglietti su un grande tavolo per dar loro un ordine logico. Dopo di che si stabilisce che lo schema del lavoro sarà il seguente: sul principio: noi - i nostri genitori ora: scoperta degli ideali di questa scuola Nostra risposta parziale per: debolezza nostra - pressione: dei genitori - del mondo Quarto giorno: un intero pomeriggio (5 ore) per rifare ognuno da sé la lettera seguendo però obbligatoriamente lo schema fissato in comune. Quinto giorno: mattina e sera. Tutti insieme. Ognuno legge a alta voce la sua soluzione per il primo punto dello schema. Dopo di che si stabilisce il testo comune composto sulle migliori espressioni d'ognuno. E così per gli altri punti dello schema. Questo testo risulta di 1128 vocaboli. Sesto giorno: si detta il testo accettato perché ognuno ne abbia una copia davanti. Un intero pomeriggio (5 ore) in cui ognuno annota in margine (s'è scritto su mezza pagina) le proposte di correzioni, tagli, esemplificazioni, aggiunte di concetti trascurati ecc. Settimo giorno: mattina e sera Ottavo giorno: mattina e sera Nono giorno: mattina Proposizione per proposizione ognuno dice a alta voce le correzioni che propone. Si discutono e accettano o meno a alta voce mentre uno scrive il testo definitivo che qui vi accludiamo. Il testo che risulta da questo lavoro è composto da 823 parole. Il testo è perciò diminuito di ben 305 parole pur essendo arricchito di molti concetti nuovi. Il lavoro di questi ultimi tre giorni è stato entusiasmante per me e per i ragazzi. Straordinaria la possibilità, in questa fase, dei più piccoli di trovare qualche volta soluzioni migliori dei grandi. Pochissima incertezza: in genere la soluzione migliore s'impone molto evidentemente alla preferenza di tutti. Infatti, ormai che s'era stabilito cosa volevamo dire, non restava che trovare il modo migliore di dirlo e su questo in genere non c'era molto da discutere. Esiste oggettivamente una soluzione che è migliore delle altre. In questa fase si possono studiare insieme tutti i problemi dell'arte dello scrivere: completare e semplificare. Finir di cercare quel che non si è ancor detto, cercare di dire col minimo di mezzi. Cercare di indovinare la reazione del lettore, eliminare le ripetizioni, le cacofonie, gli attributi e le relative non restrittivi, i periodi troppo lunghi ridomandandosi all'infinito se un dato concetto è vero, se è nel suo giusto valore gerarchico, se è essenziale, se il destinatario avrà gli elementi per comprenderlo, se provocherà malintesi. A questo punto c'è venuto fatto di cercare di eliminare anche le frasi che suonavano troppo vanitose. Ma ci siamo imposti di non farlo. L'arte dello scrivere consiste nel riuscire a esprimere compiutamente quello che siamo e che pensiamo, non nel mascherarci in migliori di noi stessi. Del resto l'orgoglio di questi ragazzi l'ho coltivato io volutamente per anni. Quando ho davanti uno studente o un cittadino faccio di tutto per umiliarlo, levargli un po' di sicurezza di sé. Quando ho un contadino o un operaio cerco proprio il contrario: di dargli un po' di sicurezza di sé.Tutto quel che ho detto in questa lettera si riferisce alla parte scritta dai più grandi, cioè i capitoli 3, 4, 5. Gli autori hanno da 12 a 16 anni (i due più grandi non hanno potuto collaborare per mancanza di tempo). I primi due capitoli sono stati scritti più alla svelta e non sono perfettamente genuini. In questi sono stato coautore mentre negli altri son stato quasi solo presidente. La prossima volta comunque non potremo rifare un lavoro così complesso e soprattutto così lungo. Ci limiteremo a argomenti meno impegnativi. Per es. a quel che lei ci chiederà di chiarire su questa lettera. Un saluto affettuoso e a presto, suo Lorenzo Milani
Cinque sono i capitoli. I ragazzi di prima media hanno preparato i primi due. I più grandi gli altri.
La nostra scuola è privata. E' in due stanze della canonica più due che ci servono da officina. D'inverno ci stiamo un po' stretti. Ma da aprile a ottobre facciamo scuola all'aperto e allora il posto non ci manca! Ora siamo 29. Tre bambine e 26 ragazzi. Soltanto nove hanno la famiglia nella parrocchia di Barbiana. Altri cinque vivono ospiti di famiglie di qui perché le loro case sono troppo lontane. Gli altri quindici sono di altre parrocchie e tornano a casa ogni giorno: chi a piedi, chi in bicicletta, chi in motorino. Qualcuno viene molto da lontano, per es. Luciano cammina nel bosco quasi due ore per venire e altrettanto per tornare. Il più piccolo di noi ha 11 anni, il più grande 18. I più piccoli fanno la prima media. Poi c'è una seconda e una terza industriali. Quelli che hanno finito le industriali studiano altre lingue straniere e disegno meccanico. Le lingue sono: il francese, l'inglese, lo spagnolo e il tedesco. Francuccio che vuol fare il missionario comincia ora anche l'arabo. L'orario è dalle otto di mattina alle sette e mezzo di sera. C'è solo una breve interruzione per mangiare. La mattina prima delle otto quelli più vicini in genere lavorano in casa loro nella stalla o a spezzare legna. Non facciamo mai ricreazione e mai nessun gioco. Quando c'è la neve sciamo un'ora dopo mangiato e d'estate nuotiamo un'ora in una piccola piscina che abbiamo costruito noi. Queste non le chiamiamo ricreazioni ma materie scolastiche particolarmente appassionanti! Il priore ce le fa imparare solo perché potranno esserci utili nella vita. I giorni di scuola sono 365 l'anno. 366 negli anni bisestili. La domenica si distingue dagli altri giorni solo perché prendiamo la messa. Abbiamo due stanze che chiamiamo officina. Lì impariamo a lavorare il legno e il ferro e costruiamo tutti gli oggetti che servono per la scuola. Abbiamo 23 maestri! Perché, esclusi i sette più piccoli, tutti gli altri insegnano a quelli che sono minori di loro. Il priore insegna solo ai più grandi. Per prendere i diplomi andiamo a fare gli esami come privatisti nelle scuole di stato.
Prima di venirci né noi né i nostri genitori sapevamo cosa fosse la scuola di Barbiana. Quel che pensavamo noi: Non siamo venuti tutti per lo stesso motivo. Per noi barbianesi la cosa era semplice: La mattina andavamo alle elementari e la sera ci toccava andare nei campi. Invidiavamo i nostri fratelli più grandi che passavano la giornata a scuola dispensati da quasi tutti i lavori. Noi sempre soli, loro sempre in compagnia. A noi ragazzi ci piace fare quel che fanno gli altri. Se tutti sono a giocare, giocare, qui dove tutti sono a studiare, studiare. Per quelli delle altre parrocchie i motivi sono stati diversi: Cinque siamo venuti controvoglia (Arnaldo addirittura per castigo). All'estremo opposto due abbiamo dovuto convincere i nostri genitori che non volevano mandarci (eravamo rimasti disgustati dalle nostre scuole). La maggioranza invece siamo venuti d'accordo coi genitori. Cinque attratti da materie scolastiche insignificanti: lo sci o il nuoto oppure solo per imitare un amico che ci veniva. Gli altri otto perché eravamo davanti a una scelta obbligata: o scuola o lavoro. Abbiamo scelto la scuola per lavorare meno. Comunque nessuno aveva fatto il calcolo di prendere un diploma per guadagnare domani più soldi o fare meno fatica. Un pensiero simile non ci veniva spontaneo. Se in qualcuno c'era, era per influenza dei genitori. Quel che pensavano i nostri genitori: Pare invece che questi calcoli siano normali nei genitori, almeno a giudicare dai nostri. Noi ci siamo sentiti dire che: “ Bada di passare! Se passi ti fo un regalo! Se bocci ne buschi! Vuoi zappare come to pa’? Guarda quello col diploma che posto s'è fatto! ”. A sentir loro sembrerebbe che al mondo non ci fosse che il problema di noi stessi, del denaro, di farsi strada. Cioè sembrerebbe che ci educhino all'egoismo. Mentre invece per tante altre cose ci danno esempio di generosità: aiutano volentieri il prossimo e anche la loro cura per noi è un continuo dimenticarsi di se stessi. Spesso le loro parole non riflettono il loro vero pensiero, ripetono soltanto quel che il mondo usa dire.
A poco a poco abbiamo scoperto che questa è una scuola particolare: non c'è né voti, né pagelle, né rischio di bocciare o di ripetere. Con le molte ore e i molti giorni di scuola che facciamo, gli esami ci restano piuttosto facili, per cui possiamo permetterci di passare quasi tutto l'anno senza pensarci. Però non li trascuriamo del tutto perché vogliamo contentare i nostri genitori con quel pezzo di carta che stimano tanto, altrimenti non ci manderebbero più a scuola. Comunque ci avanza una tale abbondanza di ore che possiamo utilizzarle per approfondire le materie del programma o per studiarne di nuove più appassionanti. Questa scuola dunque, senza paure, più profonda e più ricca, dopo pochi giorni ha appassionato ognuno di noi venirci. Non solo: dopo pochi mesi ognuno di noi si è affezionato anche al sapere in sé. Ma ci restava da fare ancora una scoperta: anche amare il sapere può essere egoismo. Il priore ci propone un ideale più alto: cercare il sapere solo per usarlo al servizio del prossimo, per es. dedicarci da grandi all'insegnamento, alla politica, al sindacato, all'apostolato o simili. Per questo qui si rammentano spesso e ci si schiera sempre dalla parte dei più deboli: africani, asiatici, meridionali italiani, operai, contadini, montanari. Ma il priore dice che non potremo far nulla per il prossimo, in nessun campo, finché non sapremo comunicare. Perciò qui le lingue sono, come numero di ore, la materia principale. Prima l'italiano perché sennò non si riesce a imparar nemmeno le lingue straniere. Poi più lingue possibile, perché al mondo non ci siamo soltanto noi. Vorremmo che tutti i poveri del mondo studiassero lingue per potersi intendere e organizzare fra loro. Così non ci sarebbero più oppressori, né patrie, né guerre.
TRA IL DIRE E IL FARE C'E’ DI MEZZO IL MARE
A tutti noi piacerebbe vivere oggi e per tutta la vita all'altezza di questi ideali. Però, sotto la pressione dei genitori, del mondo borghese(1) e di un po' di egoismo nostro, siamo continuamente tentati a ricascare nella cura di noi stessi.
Per es. uno dei più grandi, già bravissimo in matematica, passava le nottate a studiarsene dell'altra. Un altro, dopo sette anni di scuola qui, s'è voluto iscrivere a elettrotecnica. Alcuni di noi ogni tanto son capaci di trascurare una discussione per mettersi a contemplare un motorino come ragazzi di città. E se oltre al motorino avessimo a disposizione anche cose più stupide (come il televisore o un pallone) non possiamo garantirvi che qualcuno non avrebbe la debolezza di perderci qualche mezz'ora.
A nostra difesa però c'è che ognuno di noi è libero di lasciare la scuola in qualsiasi momento, andare a lavorare e spendere, come usa nel mondo. Se non lo facciamo non crediate che sia per pressione dei genitori. Tutt'altro! Specialmente quelli che abbiamo già preso la licenza siamo continuamente in contrasto con la famiglia che ci spingerebbe al lavoro e a far carriera. Se diciamo in casa che vogliamo dedicare la nostra vita al servizio del prossimo, arricciano il naso, anche se magari dicono di essere comunisti. La colpa non è loro, ma del mondo borghese in cui sono immersi anche i poveri. Quel mondo preme su di loro come loro premono su di noi. Ma noi siamo difesi da questa scuola che abbiamo avuto, mentre loro poveretti non hanno avuto né questa né altra scuola.