Chi volesse prenotare il libro di Aldo Bozzolini, relativo alla sua esperienza con il Priore
alla Scuola di Barbiana,
può telefonare al numero: 339 - 4939265
UNA SCUOLA O UN MANICOMIO?
Quando guardiamo 30 ragazzi, un gruppo classe, rinchiuso in uno spazio di metri 4 x 4 e ascoltiamo una campanella scandire il tempo ogni tre quarti d’ora, sinceramente ci domandiamo: “Siamo a scuola oppure in un manicomio?”
Quando ascoltiamo negli slogan delle manifestazioni, spesso purtroppo, frasi aggressive che mettono sullo stesso piano la Riforma Berlinguer, nella quale noi abiamo creduto pur con le nostre critiche, con la riforma gelmini, che più che una riforma appare come un riassestamento dei costi, sinceramente ci domandiamo: “Di questo disagio assurdo chi dobbiamo accusare?
E ancora.
Cosa rispondere alle Organizzazioni Sindacali quando ci chiedono di portare, in un contesto così disgregato, una testimonianza perché allievi di Lorenzo Milani e parte del gruppo storico della Lettera a una professoressa?
Beh, sinceramente vien voglia di sparpagliare completamente le carte in gioco e partire dai costi unitari!
Più di mezzo secolo ci separa dalle esperienze più mature del Priore di Barbiana, ma la scuola italiana nonostante gli alti costi, 6.000 euro l’anno a ragazzo solo lo Stato Italiano, poi ci sono le spese delle famiglie e dei Comuni, è rimasta praticamente la stessa, anzi è sicuramente peggiorata!
Il periodo in cui abbiamo frequentato Barbiana, quello che si lega alle grandi scritture collettive, era quello più numeroso e spesso i ragazzi attorno ai tavoli erano più di 25. La media attuale.
Il rendimento era altissimo perché, anche se siamo passati alla storia come la categoria dei Gianni, in realtà, noi allievi, abbiamo passato la vita da Pierini, anzi da Pierinissimi.
Come mai quella scuola funzionava e giustamente potrebbe essere presa a modello?
Perché era una scuola dove non c’era né lo Stato né il Privato, ma era una scuola autogestita.
Abbiamo creduto nella riforma Berlinguer perché espansiva dei livelli di autonomia e di responsabilizzazione dei soggetti sociali. Ci abbiamo creduto perché valorizzando i nuclei fondanti le discipline consentiva l’applicabilità del metodo educativo della Scuola di Barbiana, frutto delle riflessioni comuni tra due grandi educatori, Lorenzo Milani e Mario Lodi, e la collaborazione indiscussa della comunità contadina che abitava sul Monte Giovi. Convergenze provvidenziali senza le quali il nostro caro Priore avrebbe passato il suo tempo, come a Calenzano, nel conflitto totale, misto tra intellettualismi di maniera e rigide ideologie.
Pensare a Barbiana oggi significa accettare di essere di nuovo degli isolati, perché?
Analizziamo il contesto di realtà che vivono i nostri ragazzi e costruiamo la prima mappatura come se fossimo attorno ai tavoli della nostra scuola con i nostri fogliolini in mano, pronti per essere riempiti di idee e diventare strumento per una scuola che si costruisce dal basso. Quando lo facciamo, nei nostri laboratori, emergono le contraddizioni.
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Come conciliare la campanella con la continuità educativa?
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Come conciliare i libri di testo e le programmazioni annuali con un contesto di realtà che cambia così repentinamente?
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Come rendere possibili valori come la solidarietà e le pari opportunità in un Paese, il nostro, dove le divisioni economiche e culturali stanno diventando anche separazioni generazionali?
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Come educare al passaggio da una economia in espansione a una economia della “decrescita”?
Purtroppo nelle piattaforme sindacali e politiche di destra o di sinistra queste considerazioni non vengono fatte.
Sappiamo che la critica principale della lettera a una Professoressa si lega alla frase: “Scuola vivi fine a te stessa!”, ma il contesto di realtà resta spesso fuori dalle aule.
Cosa è cambiato considerando la Mappa concettuale che ci propongono i ragazzi?
Chi ha il coraggio di tradurre gli assurdi girotondini e occupazione delle scuole, per consentire lo sciopero retribuito ai professori, in dibattiti capaci di costruire piattaforme rivendicative?
Con che coraggio guardiamo in faccia i nostri figli se nemmeno per loro osiamo rinunciare a qualche privilegio?
Don Lorenzo Milani e La Pira e i suoi santi laici come Gandhi, Gramsci e Di Vittorio si stanno rigirando nella fossa!
1°GRUPPO - PROGETTO SARDELLI
RIFONDAZIONE DEL PENSIERO CRITICO
Nel mondo circa 1 miliardo di persone non ha da mangiare; ogni giorno (anzi, ogni minuto) migliaia di bambini muoiono per denutrizione. Nello stesso tempo, circa 1 miliardo di persone sono afflitte da eccesso di nutrizione e, di queste, 300 milioni sono obese. Lo spreco alimentare nel mondo è aumentato del 50%; in Italia esso ammonta a 20 milioni di tonnellate, pari a 37 miliardi di euro. Con questo “pane buttato” da una parte del pianeta potrebbero mangiare circa 44 milioni di persone. Lo sviluppo produce una continua distruzione degli ecosistemi di supporto alla vita. Quest’anno si calcola che a ottobre abbiamo già esaurito la nostra riserva di risorse naturali del mondo; l’anno prossimo la stessa cosa avverrà forse ad agosto: ci stiamo giocando il futuro delle generazioni che verranno dopo di noi. In Italia, il divario tra un salario medio di un operaio e quello di un super manager non è mai stato così grande (anche 400 volte) e questo rappresenta un pericolo non solo per le industrie, ma per la stessa democrazia. Alcune città, come la Leonia di Calvino, rischiano di essere sepolte dai propri rifiuti, dalle macerie del malsviluppo.
Basterebbero questi soli pochi dati a testimoniare la disuguaglianza che affligge il nostro povero mondo; non più solo tra l’opulento Occidente e il “resto” del mondo, ma ormai anche all’interno dello stesso Occidente. E tuttavia l’Occidente continua ad esportare la sua civiltà con i caccia bombardieri, con le navi da guerra; alza barricate contro gli “invasori”, si sforza di non farsi contaminare da quella miseria che esso stesso ha contribuito a produrre nel pianeta.
Per la prima volta nella storia dell’uomo, la questione ambientale si combina con quella del lavoro, dei redditi, dei consumi e della giustizia sociale. Non è più possibile oggettivamente continuare su questa strada della crescita continua e illimitata, pena una crisi irreversibile del nostro pianeta che entrerà in una condizione di instabilità irreversibile. Il “resto” del mondo, inappagato e sfruttato, paga per l’avidità e l’ingordigia del mondo opulento che pure rappresenta una piccola minoranza.
Come siamo arrivati a questo punto?
In Europa, negli anni Ottanta, l’equilibrio tra eguaglianza e libertà, grande conquista delle rivoluzione francese, si è sbilanciato tutto a favore del secondo termine inaugurando la stagione dell’individualismo proprietario, del liberismo, del “meno stato, più mercato”. In Italia, negli stessi anni, c’è l’affermarsi di una destra populista e aggressiva, lo sfaldamento dei partiti della sinistra tradizionale e il loro progressivo distacco dal territorio, dalle vite quotidiane delle persone in carne ed ossa, l’abbandono, in una parola, di quei contesti sociali e culturali che pure avevano contribuito alla sua crescita. Ora la modernità assume il tratto feroce di rifiuto di ogni memoria collettiva, di rifiuto di ogni forma di comunitarismo, di trionfo dell’individualismo e della libertà assoluta ad ogni costo, dell’individuo fai-da-te che rappresenta l’”uomo nuovo”, l’affermazione del darwinismo sociale.
Ovunque, nel mondo, e in Italia, sorgono associazioni, movimenti che, partoriti dalla crisi dei partiti, avrebbero dovuto funzionare come incubatori di una nuova politica, di una nuova cultura in grado, a livello globale e locale, di contrastare gli effetti devastanti della globalizzazione verso il progetto di una società alternativa a quella dominata dal mercato capitalistico. Nella nostra città, Roma, operano centinaia, o forse migliaia di essi, una intellettualità diffusa, studenti. Tuttavia l’impressione è che tutta questa vivacità politica abbia una vita effimera, dopo la quale si perde ogni traccia di quell’esperienza. E neppure restano, per i movimenti che nascono successivamente, sedimenti consistenti dai quali ripartire. I movimenti nascono e muoiono nel breve tempo di una stagione, lasciando dietro di sé delusione e spaesamento.
Noi ci proponiamo di favorire la crescita di una popolazione attiva, di cittadini responsabili, di fare politica nel senso che a tale termine conferiva don Milani: discutere insieme i problemi e tentare insieme di affrontarli, perché la politica o è opzione per i più deboli, per le povertà e per tutte le sofferenze sociali, o si esaurisce in una amministrazione contabile del presente senza più speranza. Per questo ci interessa discutere i problemi insieme alle persone, crescere insieme a loro. Ci interessa la scuola, il lavoro, le relazioni tra i popoli, le fatiche quotidiane di uomini e donne, le loro pene e le loro sofferenze, le testimonianze di sofferenze, soprusi, violenze, ingiustizie, che il potere dominante con la sua logica del profitto esporta in tutto il mondo.
Noi siamo fuori dal Palazzo degli intrighi, degli accordi, delle infinite mediazioni. Siamo in mezzo alla gente, ci sentiamo persone tra persone, creature tra creature e sempre ci stupiremo della sordità e della miopia della politica; resteremo sempre da quest’altra sponda fino a quando insieme decideremo di attraversare il fiume.
Chiediamo a singole persone, a gruppi, a movimenti di costruire insieme la prospettiva di un futuro diverso, solidaristico, improntato ai valori dell’uguaglianza, ma un futuro a partire da qui e da ora senza rimandi a un ipotetico domani. Il mondo diverso è già tra noi, se abbiamo occhi per vederlo, ed è possibile.
2° GRUPPO DI LAVORO
RIFONDAZIONE DEL PENSIERO CRITICO
Caro Roberto, credo di poter condividere la sostanza delle analisi sviluppate da te e dagli amici che hanno voluto manifestare il loro pensiero sul 1° Gruppo.
Credo però, come peraltro mi sembra di dover desumere dai tuoi scritti, che sia assolutamente indispensabile fare uno sforzo per cercar di limitare il campo che vogliamo arare e definire quali risultati ci proponiamo di ottenere.
Perchè?
Direi per due ordini di motivi:
Il primo è riconducibile, a mio modesto avviso, alla ampiezza ed ambizione del tema che vorremmo poter sviluppare: un nuovo modello di società ? fondato su principi che si ispirino alla nostra cultura, non soltanto religiosa ? che sia esportabile in altre realtà sociali e in altre culture o che si limiti ad indicare obiettivi alla nostra “portata” ?
Il secondo è riconducibile, forse più pragmaticamente, alla necessità/possibilità di conseguire un “risultato” (anche se non in brevissimo periodo) in un contesto ambientale (nazionale, internazionale, globale) che non dobbiamo nasconderci è probabilmente “ostile” ad ascoltare ed a dar credito a voci dissonanti rispetto alla prevalente visione “edonistica”.
Vediamo allora di individuare alcune parole “chiave”:
Il nostro non può non essere un obiettivo “politico”: dando a questo termine il significato di un obiettivo che plasma comportamenti e decisioni che incideranno sul modo di essere di una comunità del domani. Ideali? Valori? Ma quali ? Laici? Religiosi?, riferiti questi ultimi ad un concetto di religiosità specifico o che vuole rifuggire da “etichette” e cerca quindi di individuare un denominatore comune sul quale cercare una condivisione ?
Non può che essere un obiettivo tendenzialmente “globale”. Perchè credo sia difficile immaginare aree del mondo che più o meno continuino a privilegiare l’attuale “liberismo capitalista (o irresponsabile)” con tutto quello che ne consegue in termini comportamentali dei singoli e delle comunità; ed altre che, informando i loro comportamenti (singoli e collettivi) anche ad una semplice concetto di “liberismo responsabile” si trovino a doversi “difendere” da tentativi di “omologazione”.
Non può che essere rispettoso di un “ambiente” che mostra evidenti segni di crescente “criticità”; ma, in un contesto nel quale oltre due terzi della attuale popolazione mondiale vuole poter disporre ed usare delle risorse del pianeta, come gestire le criticità ?
Non può che essere attento alle “differenze” che sempre più caratterizzano la realtà mondiale, ma anche quelle che più da vicino ci toccano (l’Italia in primis, ma anche l’Europa e le aree del mondo che in qualche modo ci guardano). Ma il nostro obiettivo può essere l’eliminazione delle “differenze” o, a mio giudizio più realisticamente, la loro gestione in termini di “equità” ?
Si potrebbe continuare, ma credo che immaginare una “proposta” con elementi di concretezza anche solo su uno di questi punti richieda un grosso impegno in termini di risorse, di condivisione e di progettualità.
Risorse
Uomini e donne con competenze specifiche nel campo/i che si vuole approfondire, ma anche operatori della comunicazione (media e persone che hanno doti di comunicatori)
Condivisione
Individuare le iniziative (associazioni e quant’altro) già attive nel campo prescelto come “esperimento” e verificare la condivisione di obiettivi specifici definendo i campi di operatività di ciascuna realtà.
Creazione di un Centro di coordinamento delle iniziative.
Progettualità
Individuare obiettivi temporali (da assoggettare a verifica) sulla base della concretizzazione di un progetto che definisca: “cosa” comunicare,
“a chi” comunicare,“come” comunicare.
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Intanto si è costituito a Cosenza un terzo gruppo di lavoro, costituito da operatori sociali, insegnanti, studenti e ricercatori dell'Università.
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In piazza con Vangelo e Costituzione
di Don Andrea Gallo
La mia tempestiva adesione alla manifestazione di Roma nasce dal profondo della mia coscienza di fede e dalla responsabilità civica. Un prete che testimonia il suo impegno sempre più chiaro, stimolato dai ragazzi di Barbiana, che col loro Priore Don Lorenzo, scrivevano nella «Lettera ad una professoressa»: «Il problema degli altri è uguale al mio: sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l'avarizia».
Il Cristiano può vivere la propria fede solamente calandosi nella storia e nella sua oscurità con una franchezza di denuncia di tutte
le illegalità, anche nella Chiesa stessa, dell'ingiustizia, con discernimento, senza imposizioni, senza crociate.
A tutti coloro che hanno a cuore le sorti di quest'Italia si chiede un gesto di generosità e di tenerezza. Corrono tempi tristi. Molti si domandano: «C'è ancora un ceto politico consapevole del baratro in cui sta sprofondando il Paese?» Il corteo indetto dalla Fiom può essere una prima tappa per una mobilitazione collettiva dove possano trovare spazio diverse forme d'aggregazio ne e di lotta.
Abbiamo velocemente, da incoscienti o sprovveduti, rimosso o dimenticato ciò che sta in filigrana sul programma politico dominante di questi ultimi 16 anni: «Il piano di rinascita democratica della Loggiaa P2, la firma del contratto nazionale a favore di quello aziendale e la sterilizzazione del ruolo storico del sindacato. La realtà è che nei periodi di crisi diventa più evidente la fragilità sindacale e cresce la forza e l'arroganza di chi rappresenta il capitale.
Il modello negativo di Marchionne è rappresentato dai tre operai di Melfi licenziati, giustamente difesi dalla Cei e dal presidente Napolitano. Per i Padroni del Vapore il vero modello è pronto: capitalismo o democrazia. Hanno lanciato l'ultimatum. De mocraticamente sfilerò per le vie di Roma col mio Vangelo in una mano e la Costituzione nell'altra contro un governo e una maggioranza che galleggia in uno stagno di mancata volontà politica di fronte alla confusa situazione sociale e produttiva.
Suonerò campanelli d'allarme per l'opposizione incerta, divisa, rissosa, deludente. Griderò con tutte le lavoratrici e tutti i lavoratori : «Sì al dialogo con governo, con findustria e Fiat, ma i diritti non si toccano. Non si possono accettare vergognosi ricatti. Nel 1977 gli Imprenditori chiedevano sacrifici agli operai in punta di piedi. È irrinunciabile la partecipazione autonoma a questa manifestazione. Constatando l'avanzare di un lento e strisciante colpo di stato: controllo dell'informazione, presidenzialismo, decisione delle leggi penali, pesanti intimidazioni alla magistratura, eliminazione delle lotte sindacali e spazio pubblico. Un vecchio programma pericolo so che sta sfociando nella xenofobia, nel razzismo, nel neofascismo, festeggiati nel la cena di riconciliazione tra Bossi e il sindaco Alemanno.
All'età di 82 anni sono consapevole di rischiare l'indifferenza, la voglia di starmene in pace. È un'occasione questa per indignarmi sempre più ogni giorno che passa, con lucidità e onestà intellettuale contro la diffusa «assuefazione» ad un'infelice realtà. Presidi, cantieri, movimenti, consigli, circoli, municipi, reti, centri sociali, incontriamoci a Roma per siglare un Patto federativo come base di una «Democrazia insorgente» fondata sui luoghi dove la comunità e le persone vivono e agiscono: le città, i territori, le fabbriche, i luoghi di lavoro e di convivenza partecipativa. Mi sia concesso concludere con il mio amico e maestro Paulo Freire: «Nessuno si libera da solo - Nessuno libera un altro - Ci si libera tutti in sieme».
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